Qui di seguito trovate il testo integrale della lettera che P. Pietro ha scritto in risposta all'articolo apparso il 06.ottobre.2002 sul "Messaggero".

La storia della ricostruzione dell'antica chiesa di San Leonardo,

raccontata dall'autore.

    Dopo anni di umiliazioni, di accuse, di critiche e giudizi contro colui che è riuscito a portare alla luce uno dei monumenti più antichi e più belli del nostro passato, senza chiedere una lira allo Stato né ad enti pubblici, ma puntando soltanto su due grandi valori: la povertà e la fede, purtroppo oggi in disuso nella nostra società, credo sia giunto anche per l'autore il momento di esprimere il suo giudizio sulla discussa storia della ricostruzione dell'antica chiesa di San Leonardo, dato che la sua vicenda è diventata "un caso nazionale". L'occasione mi viene offerta da un articolo comparso sul "Messaggero" il 06.ottobre.2002.

   Era l'anno 1965. Spinto da una forza misteriosa, raggiunsi per la prima volta il luogo detto "San Leonardo", insieme ad un mio caro amico. Non una chiesa, non un romitorio, come "alcuni manovratori di penna" seguitano a chiamare, falsificando così tutta la sua storia; ma si potevano scorgere soltanto alcuni ruderi, ricoperti da rovi, ortiche e da tanto letame. Accanto un recinto per pecore ed una stalla che, a stento si teneva ancora in piedi. Muri crollati e pietre antiche impregnate di cultura, sparse per il "Golubro" dimostravano chiaramente l'incoscienza, l'incuria e l'abbandono completo da parte degli uomini, specialmente negli ultimi tempi. Quei pochi ruderi sopravvissuti alle offese del tempo e degli uomini, mi permettevano di ricostruirne un pò la storia.

   Proprio su quello sperduto angolo dei monti Sibillini, i primi seguaci di san Benedetto vi costruirono non un romitorio ma un vero monastero. Infatti, la montagna che oggi chiamiamo "La Priora", prenderà appunto il nome dal Priore del monastero. In seguito furono i monaci Camaldolesi, giunti dal monastero di Fonte Avellana, a trasformare questo piccolo angolo in un centro di fede, di cultura e di sviluppo che, nel corso dei secoli, ha tanto influito all'incremento della nostra civiltà. Ma come tutte le cose umane, anche la fiamma di vita che per secoli e secoli, aveva illuminato il "Golubro", andrà lentamente esaurendosi. Saranno alcuni monaci Camaldolesi a ravvivarla, ma solo per pochissimi anni. Quello che era stato come un faro di luce nel periodo buio e tormentato del Medioevo, ora andava inesorabilmente spegnendosi fino a piombare nell'oscurità più assoluta.

   Immerso come in un sogno, seduto sopra quei ruderi, mi sembrava di udire quelle pietre che mi dicevano: "perché non ci riporti all'antico splendore?". Ma quello che mi appariva in quel momento come un sogno impossibile, non lo era affatto per Colui, che proprio su "quell'ermo colle" aveva un progetto di amore e di salvezza per gli uomini.

   Nel 1969 i figli del sen. Luigi Albertini, Elena e Leonardo, con tanta ammirazione ed entusiasmo, non solo mi fecero donazione del rudere della chiesetta di San Leonardo, ma mi mandarono perfino il denaro per il passaggio di proprietà.

   Nel 1970 l'allora sindaco di Montefortino, Sante Vallesi, con lettera protocollata, approverà ed incoraggerà il mio progetto di ricostruzione della chiesa di San Leonardo, anche a nome degli amministratori e di tutta la popolazione, segnalando, con spirito profetico, la rilevanza nazionale dell'opera in quanto punto di attrazione a carattere religioso e turistico. Anche la Sovrintendenza alle Belle Arti mi darà via libera, perché il luogo era segnalato come "capanna rurale".

   Non vorrei in questo momento fare una cronaca di tutti i disagi che hanno fatto da sfondo ai miei 32 anni impegnati nella ricostruzione della chiesa di San Leonardo: disagi, che tutti possono benissimo immaginare. Se è vero che ogni nuovo inizio nasce povero, anche la mia iniziativa doveva percorrere la stessa strada: una strada tutta segnata di povertà, sacrifici, rinunce, privazioni, lotte, rischi ed anche incomprensioni da parte di persone che cercano sempre di ostacolare il nostro cammino.

   Con la creazione del Parco Nazionale dei Sibillini, infatti, la situazione si capovolge completamente. Colui che ha impiegato metà della sua vita nel riportare alla luce, senza ricorrere ai soliti schemi a cui oggi si è soliti ricorrere, cercheranno di farlo comparire come "un abusivo, un delinquente... che merita la forca", "perché ha ricostruito la chiesa non com'era prima, ma un pò più larga...". E così il "povero Frate" - ha scritto Chiara Beria di Argentine su "Specchio" del 24.marzo.2001 - "che vive di carità come san Francesco, uomo di fede e muratore, è stato accusato di aver fatto nello sperduto San Leonardo dei lavori abusivi, e così dovrà lasciare il suo rifugio per comparire in tribunale... Non si riesce a fuggire da nulla, caro Fra Pietro, tanto meno dall'idiozia dei nostri giorni!". Parole che non hanno bisogno di commento.

   Il 06.ottobre.2002, comparirà sul "Messaggero" un articolo dal titolo: "Prosciolto il frate muratore - la vicenda di Padre Pietro fu un caso nazionale. Il reato estinto perché sono arrivate le autorizzazioni". Si chiude così l'ultimo atto di una "lurida commedia".

   A questo punto mi domando: "tutte le autorizzazioni che mi erano state concesse, fin dall'inizio, quale fine hanno fatto, dove sono andate a finire?". Pretendere che si faccia giustizia su questa dolorosa vicenda, sarebbe come pretendere di racchiudere tutta l'acqua del mare in un bicchiere. A me non interessa il giudizio di certi "grilli parlanti", che oggi non solo riescono a parlare, ma, grazie al nostro progresso, riescono addirittura a scrivere! Riconosco sinceramente i miei limiti, le mie possibilità: ho fatto tutto quello che ho potuto, impegnando tutte le mie energie, sia fisiche che spirituali. Lottando contro ogni speranza, ho cercato di restituire ai monti Sibillini uno dei monumenti più antichi e più belli del nostro passato.

   Oggi che la ricostruzione è diventata realtà, è per me motivo di gioia e di grande soddisfazione, che derivano dal fatto di aver valorizzato "a maggior gloria di Dio" e per il bene e la gioia di tutti coloro che giungono e giungeranno a San Leonardo, un luogo che, attraverso i secoli, ha dato il proprio contributo di fede, di cultura e di sviluppo per formare la nostra storia.

   "Di materiale" - ha scritto Gianni Leoni (inviato speciale del "Resto del Carlino") - "non resterà nulla al religioso, del suo lungo lavoro, perché Padre Pietro ha scelto di rimanere un piccolo frate dalle tasche vuote e dal cuore lindo come l'aria sul monte, e di portare avanti le sue regole così lontane dal binomio "quattrini e proprietà", falsi valori di questo mondo terreno con il loro opaco corredo di invidie, di ansie e di cupidigia. Lui, l'ostinato, piccolo saio delle vette, resta quello di un primo passo di un giorno lontano: un uomo semplice e felice, titolare unico di un grande patrimonio di chi ha l'animo ricco e neppure una lira in tasca".

P. Pietro, è riuscito a scovare questa chicca.
Si tratta della preghiera che Pietro Maso (omicida di entrambi i genitori), ha scritto dal carcere.
 

Signore, vorrei poter togliere tutte le spine dalla tua fronte e conficcarle nelle mie mani, macchiate dal peccato.
Vorrei poter togliere i chiodi dalle tue mani e dai tuoi piedi e piantarli sulle mie labbra, che hanno bestemmiato.
Vorrei poter guarire la ferita del tuo costato ed offrire alla lancia il mio cuore, indegno del tuo amore.
Dov'eri, Signore, quando la mia mano colpiva?
Ora lo so! Eri là, sulla croce a rinnovare il tuo eterno grido di amore: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!".
Perdonami, buon Gesù.

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Di Adriana Gargiulo è questa stupenda spiegazione dell'AMORE

  La fratellanza, il sorriso, la disponibilità, la gioia di essere sempre il conforto dell'altro è amore.

  Quando si sente dentro uno sconvolgimento totale alla cui base c'è però tanta gioia si sta amando intensamente. L'amore spinge ogni essere a non porsi interrogativi, a non aspettarsi di essere ricambiato. Si vive per l'altro, si agisce per l'altro, si piange per l'altro, si soffre per l'altro. In questo cammino di fede non si è da soli, c'è Qualcuno che ci tiene per mano, che ci dà conforto quando abbiamo paura, che ci aiuta quando stiamo per cadere, che ci rialza se stiamo precipitando. E quel Qualcuno vive in colui che frequentiamo, che ci sta accanto, che ci parla, che ci consiglia, che ci ama. Non allontaniamoci mai dall'altro, non rischiamo di isolarci perché l'altro non riesce a comprenderci, non trattiamolo male perché stiamo vivendo un momento difficile, restiamogli sempre accanto, rimarremo così e per sempre nell'abbraccio eterno di Colui che saputo vincere la morte: DIO.

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Giovannino Guareschi

(Don Camillo e i giovani d'oggi - "E' di moda il ruggito della pecora")

    Don Camillo spalancò le braccia:

    "Signore, cos'è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?".

   "Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione tra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?"

   "No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l'autodistruzione di cui parlavo. L'uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L'unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell'uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore, la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano, uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all'uomo la sua ricchezza. Perché distruggiamo tutto e l'uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni, cercherà nuovamente Dio. E lo troverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?".

   Il Cristo sorrise:

   "Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d'ogni cultura".